Slow Wine Guida 2020
I Vini Slow, i Grandi Vini e i Vini Quotidiani per il Lazio
12 Ottobre 2019
Terme del Tettuccio
Montecatini Terme (Pt)
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A qualche giorno dalla grande degustazione di Montecatini Terme dove i sei Cesanesi presenti hanno ricevuto unanimi consensi da parte dei degustatori, continuo, proprio con il Lazio a commentare i Vini Slow, i Grandi Vini e i Vini Quotidiani regione per regione della guida dello Slow Wine 2020.
Ecco i premiati della guida per il Lazio, ma più che i premiati, voglio dire per una maggior parte i vini che piacciono a me, i produttori che piacciono a me, le persone che vado a trovare nelle loro aziende e quindi via a continuare con il Lazio. Prima dell’elenco ecco il commento alla regione a cura della redazione dello Slow Wine.
“Il Lazio come Godot. Lo aspettiamo da 10 anni, un’altalena di emozioni lunga tutte le edizioni della guida: dalla speranza più accesa al pessimismo più cupo. Oggi ci troviamo a tirare le somme di una regione che rischia di rimanere impantanata tra un passato invocato per reclamare un’effettiva vocazione, e visioni ferme a decenni fa, legate a doppio filo con il presunto miglioramento offerto dai vitigni internazionali.
Certo, di passi avanti ce ne sono stati, e probabilmente mai come quest’anno abbiamo trovato una qualità media così elevata. Manca però la costanza, l’affidabilità nel tempo, e quella non dipende certo solo dalla vendemmia e dal meteo, totem utilizzati alla bisogna per giustificare risultati non esaltanti. Ben venga il turnover quando non è sintomo di inaffidabilità, ben vengano i nuovi ingressi quando non sono sinonimo di occasionalità.
Partiamo dalle certezze, che oggi rispondono a un solo nome: cesanese. È sempre più fortemente cesanese über alles. Un percorso virtuoso che abbiamo seguito con interesse in questi anni e che abbraccia trasversalmente Olevano Romano e la Docg del Piglio, fino a giungere ad Affile. Se dal punto di vista della personalità del vitigno non avevamo mai avuto dubbi, è la ricerca di uno stile identitario e di una sempre più evidente chiarezza espressiva a rendere entusiasmante la panoramica offerta.
Diversa la situazione nell’area del Frascati, ancora in una fase di stallo nella ricerca di identità e qualità: certamente un’annata come la 2018, complicata per la varietà malvasia, non ha aiutato il processo di crescita, ma non può essere questo il solo alibi. Non si può più prescindere dall’espressività territoriale, dal riscontro del millesimo e delle sue peculiarità, anche a discapito dell’ipertecnicismo distaccato e freddo: il tecnicamente ben fatto come base di partenza e non come punto di arrivo. In questo il colosso castellano compie passi ancora fin troppo cauti, che sicuramente non andrebbero mossi verso ipotesi di modifica del disciplinare, aspirando all’ingresso massiccio di vitigni che poco hanno a che fare con il territorio.
Ancora in tema bianco, nella Tuscia la parte del leone la fa sempre il grechetto. Manca però a tutt’oggi una massa critica in grado innescare un effetto domino qualitativo, che pare ancora frenato dall’ossessiva ricerca di vini dal prezzo contenuto e, in parte, dall’equivoco della denominazione orvietana che riunisce, sotto un unico cielo, vini di confine sospesi in un limbo comunicativo.
Delude ancora il Lazio della costa a sud di Roma, che per anni aveva creato interesse intorno a bianchi profumati e sapidi, e che vede oggi una fase più di ombre che di luci, trovando solo un parziale riscatto a Ponza.
L’entroterra pontino al contrario si sta affermando sempre più come zona di bianchi da seguire: bellone a parte, la malvasia del Lazio sembra aver trovato nell’area espressioni in grado di mettere in ombra i Castelli Romani e, soprattutto, la Doc Roma, che ancora non riesce a fornire elementi attrattivi, nome a parte.
Cenni di ottimismo vengono dalla bassa Ciociaria, grazie a un manipolo di viticoltori che sta sperimentando vitigni autoctoni dai nomi insoliti: maturano, lecinaro e olivella sono fonte di ispirazione, con alterne fortune è il caso di sottolinearlo, per vinificazioni coraggiose, in qualche caso fin troppo ardite.
La chiusura la merita una considerazione territorialmente trasversale: le realtà biologiche, biodinamiche e naturali emergono con risultati interessanti da nord a sud, a dimostrazione che la voglia di una viticoltura attenta al territorio può essere davvero una contagiosa base di partenza per il rilancio. Non è la panacea di tutti i mali e nemmeno l’ultima moda a cui guardare con interesse, ma si può creare un circolo virtuoso a tinte verdi. E, francamente, sarebbe pure ora, caro Godot.”
VINO SLOW
Cesanese del Piglio Priore Ju Quarto 2017, La Visciola (da sempre preferisco il Mozzatta, ma da Rosa e Piero arriva solo tanta qualità)
Cesanese del Piglio Sup. Lepanto Riserva 2016, Alberto Giacobbe (mi sono piaciuti i complimenti a questo vino da parte di un grande produttore dll’Alto Adige)
Cesanese di Affile Nemora 2017, Raimondo (mi è piaciuto tantissimo il loro 2016, questo sta sulla buona strada)
Cesanese Di Olevano Romano Cirsium Riserva 2015, Damiano Ciolli (se lui non facesse il Silene, sono sicuro che questo Cirsium 2015 starebbe ancora più in alto nelle classifiche, ma va bene così, perché il Silene è sempre più buono)
Frascati Superiore Abelos 2018, De Sanctis (lo dico dalla prima volta che l’ho degustato, un ottimo vino frascatano, complimenti alla famiglia De Sanctis)
GRANDE VINO
Cesanese del Piglio Superiore Hernicus 2017, Coletti Conti (un monumento nella storia del Cesanese)
VINO QUOTIDIANO
Cardito 2018, Donato Giangirolami (tenete a mente questa azienda, farà parlare sempre più di se)
Cesanese del Piglio Superiore Tenuta della Ioria 2017, Casale della Ioria (la linearità, la finezza del Cesanese del Piglio)
Miadimia 2018, Tenuta La Pazzaglia (le sorelle Verdecchia, stanno mietendo successi, in qualsiasi cosa producono)
Puntinata 2018, Cincinnato (cantina sociale orgoglio della nostra regione)
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